Antonio Mazzotti nasce a Bologna il 25 novembre 1914. Egli mostra fin dall’infanzia amore per il disegno e con l’appoggio dei genitori frequenta il Liceo Artistico di Bologna, diplomandosi nell’estate del 1933. Pochi mesi dopo l’esame di maturità egli supera l’Esame di Stato per l’insegnamento del disegno nelle scuole medie inferiori; il suo primo incarico è presso un istituto di Venezia. È il 1934 e il giovane professore ha solo 6 anni più dei suoi studenti.
Resterà nel capoluogo lagunare fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando ottiene il trasferimento a Bologna per raggiungere la madre, rimasta vedova. Ottiene la cattedra di disegno (in seguito “Educazione artistica”) presso la Scuola Media “San Domenico” dove, nel 1960, conoscerà sua moglie, la collega Liliana Anna Migliavacca, anch’ella artista e allieva presso la scuola di incisione di Giorgio Morandi all’Accademia di Belle Arti.
Negli anni della ricostruzione post-bellica egli mette il proprio rigore nel disegno geometrico a disposizione di alcuni importanti architetti bolognesi, primo fra tutti Alberto Legnani, che gli affida vari incarichi, dalla formalizzazione grafica dei lavori che escono dallo studio dei progettisti alla ideazione delle decorazioni per alcune abitazioni civili bolognesi e per edifici ad uso pubblico. Mazzotti stringe rapporti di amicizia con altri importanti architetti bolognesi, come Enzo Zacchiroli, di pochi anni più giovane, e Luigi Vignali.
Il suo avvicinamento alla pittura risale a questo periodo. All’iniziale autoritratto (1939 circa), Mazzotti aggiunge i primi paesaggi e le prime nature morte di matrice post-impressionista; a partire dagli anni ’48-‘49 si avvicina al post-cubismo e approfondisce lo studio di alcuni autori che lo interessano particolarmente: Piero della Francesca, i Fiamminghi (soprattutto per le vivacissime scelte coloristiche), artisti dell’Ottocento francese quali Delacroix e Courbet; Cézanne, le avanguardie del Novecento, il Cubismo, Kandinsky, Mondrian, Klee, Vasarely. Scopre di nutrire una particolare predilezione, non solo artistica, per George Grosz, il graffiante oppositore del totalitarismo nazista. Ed è proprio una citazione di Grosz che Mazzotti sceglie come incipit al catalogo di una sua esposizione di disegni, alla Galleria Il Cancello dell’amico Giovanni Ciangottini, nel gennaio 1977: “Qui creo il mio mondo immaginario, che continua a esistere, sia pure in segreto, pur non essendo un mondo utilitario. Dopo tutto, il mondo è fatto del bello non meno che dell’utile. Oggi sappiamo che la torre di avorio è molto più solida di molte strutture cosiddette funzionali. (…)”.
In queste righe si rispecchiano anche le note dominanti del suo carattere: la sobrietà nello stile di vita e una bonaria timidezza che lo porta quasi a rasentare l’isolamento – il suo è anche un isolamento da raggruppamenti di artisti formalizzati in “scuole”. La realtà è ovviamente più complessa, poiché se è vero che egli non ha mai utilizzato le occasioni avute per manifestarsi con maggiore incisività nella scena artistica, è anche vero che ha sempre amato, e perseguito, il contatto con molti amici artisti e intellettuali quale occasione di scambio e fonte di apprendimento. Fra gli amici più cari, senza pretendere di offrire qui un elenco completo, e chiedendo scusa per eventuali esclusioni, sono da annoverare gli scrittori Giuseppe Raimondi, Marcello Venturoli, il coetaneo Renzo Biasion, Francesco Arcangeli (che firmerà la presentazione alla sua mostra alla Galleria Forni nel 1972), e ancora Luciano Bertacchini, Ivo Tartarini; gli scultori Quinto Ghermandi e Venanzio Baccilieri, che lo hanno ritratto, e Luciano Minguzzi; Pirro Cuniberti, Giovanni Ciangottini, Luigi Bianchi; l’allieva prediletta Maria Teresa De Zorzi, lo stampatore Alberto Bettini, e i più giovani Piero Manai e Roberto Rizzoli.
Queste riflessioni portano a considerare quanto sia cruciale il legame di Mazzotti con Bologna. La Bologna fucina di una intera generazione di artisti e intellettuali e da lui vissuta come centro del proprio mondo e come luogo ove coltivare i rapporti importanti e vivere i propri giorni di artista e di uomo. Con l’eccezione dei cinque anni trascorsi a Venezia, egli si è allontanato poche volte dalla città e sempre malvolentieri, e non ha mai desiderato vivere altrove. I luoghi più amati sono alcuni quartieri del centro storico dove ha dimorato e operato: oltre alla casa natia di via San Vitale, dopo il suo ritorno da Venezia si stabilisce in via Solferino 3 ed infine nell’appartamento-studio di via Castellata 8/2, ove abita con la famiglia dal novembre 1960. Nel 1966, dopo la nascita della figlia, egli trasferisce il suo studio in un bilocale all’ammezzato di via Rialto 23, e qui viene prodotta la gran parte della sua opera pittorica e grafica.
A partire dal 1984 l’attività dell’artista rallenta: sono i primi sintomi dell’ictus che ne causerà la morte l’anno seguente; egli si spegne all’Ospedale Maggiore di Bologna l’8 dicembre 1985, due settimane dopo il suo settantunesimo compleanno.